• 2 January 2025
Intelligenza artificiale e diagnosi medica

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Potremmo iniziare parlando dei confini della pratica clinica, e di come le tecnologie dell’algoritmo (al tempo AI o IA) stiano invece dimostrando al contempo potenzialità straordinarie e significative che porteranno l’uomo (e non ci vorrà molto) oltre le consuete limitazioni. Ebbene, già sappiamo che i sistemi di AI dimostrano una precisione davvero impressionante nell’analisi di dati medici ben strutturati, dalle analisi di laboratorio, le immagini diagnostiche fino ai parametri vitali. Viene fuori però quella che si sta delineando come una sorta di competizione positiva a chi prima arriva ad una interpretazione sempre più soggettiva riguardo all’esperienza del paziente.

Interpretazione umana contro algoritmo

La complessità dell’esperienza umana nella diagnosi della malattia è uno scalino non indifferente per i sistemi di intelligenza artificiale. Quando un paziente descrive il proprio dolore, utilizzando metafore o riferimenti personali, o quando cerca di comunicare sensazioni di malessere difficili da quantificare, l’intelligenza artificiale si trova di fronte a un compito particolarmente arduo. Questi aspetti soggettivi della malattia, che i medici esperti hanno imparato a interpretare attraverso anni di esperienza clinica e empatia umana, rimangono per il momento, una frontiera complessa per l’automazione digitale. Ma questo non deve scoraggiare nessuno.

E non è l’unico dislivello nel percorso a due. Anche la ricchezza del linguaggio umano nella descrizione dei sintomi rappresenta un ostacolo significativo. Un paziente potrebbe descrivere un dolore toracico come opprimente, bruciante o come una morsa, e ciascuna di queste descrizioni porta con sé sfumature diagnostiche importanti che un medico esperto sa interpretare nel contesto della storia clinica completa del paziente. L’AI, pur essendo addestrata su giganteschi database di terminologia medica, fatica ancora a cogliere queste sottili variazioni linguistiche e a contestualizzarle appropriatamente nell’ambito di una valutazione clinica complessiva. E questo, da un certo punto di vista, tende a confortarci.

Il ruolo dell’intuizione clinica e dell’esperienza professionale assume in questa circostanza di identificazione di sinossi linguistica, una particolare rilevanza. I medici sviluppano nel corso della loro carriera una capacità quasi istintiva di riconoscere modelli e valori sottili nel comportamento dei pazienti, nel loro modo di esprimersi e nel loro linguaggio non verbale. Questi elementi, fondamentali per una diagnosi accurata e un trattamento efficace, sono difficilmente traducibili in algoritmi, nonostante i progressi che si stanno osservando quotidianamente nelle tecniche di elaborazione del linguaggio naturale e nel riconoscimento delle emozioni.

L’arte della diagnosi: un confronto

La profonda differenza tra l’approccio di un medico esperto e quello di un sistema di intelligenza artificiale nella formulazione di una diagnosi risiede allora, nella capacità di integrare tanti livelli di comprensione. Un medico con anni di esperienza sviluppa una sensibilità particolare che va ben oltre la semplice analisi dei dati clinici, incorporando una comprensione profonda della natura umana e delle infinite sfumature della sofferenza.

L’esperienza clinica si manifesta attraverso quella che potremmo chiamare intuizione diagnostica, una capacità quasi istintiva di percepire sottili incongruenze e collegamenti non immediatamente evidenti. Quando un paziente entra nello studio medico, il professionista non si limita a registrare i sintomi riferiti, ma osserva il modo in cui il paziente si muove, il tono della voce, le espressioni del viso, persino il modo in cui descrive la propria condizione. Questi elementi, apparentemente secondari, spesso contengono indizi molto preziosi per la diagnosi che l’intelligenza artificiale, almeno nella sua forma attuale, non è in grado di cogliere.

La capacità di contestualizzazione rappresenta un altro aspetto fondamentale dell’esperienza medica. Un medico esperto sa come interpretare i sintomi nel contesto della storia personale del paziente, della sua situazione familiare e sociale, del suo stile di vita e delle sue preoccupazioni. Questa visione olistica permette di individuare correlazioni significative che potrebbero sfuggire (e che al momento sfuggono) ad un’analisi puramente algoritmica.

Il medico o la macchina?

L’integrazione tra sistemi di intelligenza artificiale e pratica clinica tradizionale rappresenta quindi un tema davvero molto interessante, se non cruciale, per il futuro della medicina. Mentre l’AI eccelle nell’analisi rapida e precisa di infiniti e complessi volumi di dati strutturati, fornendo supporto prezioso nelle decisioni basate su evidenze quantificabili, il ruolo del medico rimane insostituibile nell’interpretazione degli aspetti più soggettivi e umani della malattia. Diciamolo, perché questo è un punto ancora molto fermo ed importante. In più vorrei dire che l’argomento deve essere trattato con grande intelligenza, in quanto si dovrebbe guardare ad un supporto e non ad una competizione (poi inutile). Infatti, è bene dire che questa complementarità suggerisce un futuro in cui l‘intelligenza artificiale funzionerà come un potente partner, in grado di dare ai professionisti sanitari più spazio nel dedicare tempo e attenzione agli aspetti relazionali e interpretativi della cura del paziente.

Tutto quello che potrà portare ad una migliore integrazione e interpretazione degli aspetti soggettivi della malattia, sarà il filo conduttore che manterrà il giusto equilibrio tra automazione e giudizio umano. Arriveremo quindi ben presto ad includere e promuovere uno sviluppo di algoritmi più sofisticati per l’analisi del linguaggio naturale, sistemi di apprendimento contestuale più avanzati e metodi innovativi per la quantificazione di aspetti tradizionalmente considerati puramente qualitativi.

L’intelligenza artificiale, d’altra parte, eccelle nell’elaborazione rapida e precisa di dati in numeri spropositati per una mente umana. Può analizzare simultaneamente migliaia di cartelle cliniche, identificare modelli statistici significativi e suggerire correlazioni che potrebbero sfuggire anche al medico più esperto. Ed è in questo che risiede la sua forza, ossia nella capacità di processare e confrontare tantissime informazioni in tempi rapidissimi, offrendo un aiuto decisivo soprattutto in ambiti specialistici dove la precisione diagnostica dipende dall’analisi di parametri quantificabili.

Conclusioni

Quello che possiamo dire è che la vera arte della diagnosi risiede nella capacità di unire l’analisi oggettiva dei dati con la comprensione profonda dell’esperienza soggettiva del paziente. Un medico esperto sa quando fidarsi dei dati e quando dare peso a quella sensazione indefinibile che suggerisce di approfondire ulteriormente, di cercare oltre l’evidente. Questa capacità di navigare tra certezza e incertezza, tra dati oggettivi e percezioni soggettive, costituisce l’essenza dell’expertise medica. E su questo ancora non ci piove.

Il futuro della medicina probabilmente risiederà in un approccio ibrido, dove l’intelligenza artificiale supporterà e potenzierà le capacità del medico senza pretendere di sostituirle. Tutto starà nel trovare il giusto equilibrio tra tecnologia e esperienza umana, riconoscendo che la vera eccellenza diagnostica nasce dalla sinergia tra questi due approcci complementari.