• 16 September 2024
Autismo e intelligenza artificiale. La nuova diagnostica

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La storia della ricerca sull’autismo (perché parliamo espressamente di questo) è costellata di tanti progressi ma anche di limitazioni nelle scoperte e di varie controversie. Dal 1943, quando Leo Kanner per primo descrisse l’autismo infantile precoce, la comprensione di questo disturbo ha subito profonde trasformazioni. Negli anni ’60 e ’70, teorie psicogenetiche infondate, come quella della madre frigorifero, hanno causato, come ricordiamo, danni davvero incalcolabili. La svolta genetica degli anni ’80 ha finalmente reindirizzato la ricerca verso basi biologiche più solide.

Oggi, ci troviamo di fronte ad un potenziale punto di svolta. Un team internazionale guidato da Gustavo K. Rohde dell’Università della Virginia sta proponendo un nuovo approccio diagnostico che combina imaging cerebrale, genetica e intelligenza artificiale.

Intelligenza artificiale e morfometria

Il metodo proposto da Rohde e colleghi si basa sulla morfometria basata sul trasporto, una tecnica sviluppata da Shinjini Kundu della Washington University di St. Louis. Questa metodologia analizza le immagini di risonanza magnetica per rilevare sottili variazioni nella struttura cerebrale, correlate a specifiche variazioni genetiche associate all’autismo. Non poteva a questo punto non esserci un rimando alla linea algoritmica dell’AI. L’intelligenza artificiale infatti acquista un ruolo fondamentale in questo processo. Partiamo sempre dalla capacità di analizzare quantità di dati importanti per mole e informazioni per identificare poi quei pattern che sfuggirebbero invece all’occhio umano. Dalle ultime analisi della ricerca effettuata si evince quindi la possibilità di identificare marcatori genetici dell’autismo con una precisione che oscilla tra il 90 e il 95%.

La promessa di una diagnosi precoce, potenzialmente prima della manifestazione dei sintomi comportamentali, è davvero allettante. Attualmente, la maggior parte delle diagnosi di autismo avviene intorno ai cinque anni, quando i segni comportamentali sono diventati evidenti. Una diagnosi più precoce potrebbe aprire la strada a interventi tempestivi e a soluzioni magari di approccio completamente differenti. Anche se ritengo che approcciarsi a questi risultati vada fatto sempre con grande cautela scientifica. La cifra dell’89-95% di precisione, pur essendo impressionante, va rapportata a diversi punti di confronto.

La strada della validazione

In primo luogo non è al momento chiaro quanto ampio e diversificato sia il campione utilizzato nello studio. Un campione limitato o addirittura non rappresentativo potrebbe portare a risultati non generalizzabili. L’elevata precisione poi potrebbe indicare un potenziale sovradattamento del modello ai dati di training, limitando la sua efficacia su nuovi casi. Penso poi che anche con una precisione del 95%, in una popolazione ampia, il numero di diagnosi errate potrebbe essere significativo, con una serie di conclusioni non esatte (anche dal punto di vista professionale ed etico). Sappiamo che lo spettro autistico è estremamente eterogeneo. Diventa allora cruciale capire come questo metodo si comporti con le diverse manifestazioni del disturbo.

La ricerca di Rohde e colleghi rappresenta un passo, se così possiamo dire, intrigante verso una comprensione più profonda dell’autismo. Però, come ogni progresso scientifico, deve essere sottoposto a rigorosa validazione e replicazione indipendente.

Il futuro della ricerca sull’autismo probabilmente si muoverà verso un approccio sempre più integrato, combinando genetica, neuroimaging, e valutazioni comportamentali, questo però non toglie la necessità di non generalizzare, restando sull’unicità di ogni individuo. L’obiettivo finale, a mio avviso, non dovrebbe essere quindi solo la diagnosi precoce, ma lo sviluppo di supporti personalizzati che permettano a ogni soggetto di raggiungere il proprio potenziale, rispettando la neurodiversità.

Analisi tecnica dello studio

Vorrei fare a questo punto un’analisi tecnica della metodologia principale utilizzata dal team di ricercatori. Partiamo dalla morfometria basata sul trasporto che è un modello di analisi delle immagini basato su apprendimento automatico. Questo si concentra sulla misurazione e quantificazione delle forme biologiche create dal movimento di determinate molecole. Il successivo passo è quello dell’uso dell’AI per l’analisi delle immagini ottenute attraverso la risonanza magnetica. Step successivo è quello dell’identificazione di movimenti di proteine, nutrienti e altri processi cerebrali. Altra linea di indagine sarà quella dell’analisi genetica, con un focus sulle Variazioni del Numero di Copie (CNV) e l’identificazione di segmenti di DNA cancellati o duplicati associati all’autismo.

Autismo e intelligenza artificiale. La nuova diagnostica

Intelligenza artificiale e tecniche di apprendimento profondo

E’ più che chiaro che ci sia stato un potenziale di analisi delineato attraverso una serie di  reti neurali convoluzionali per l’analisi delle immagini ottenute con la risonanza magnetica. Da questi una potenziale implementazione di tecniche di apprendimento profondo per l’identificazione di pattern complessi. E se proprio dovessimo creare un indice di iter legato alla ricerca allora i punti potrebbero essere questi (relativi sempre all’integrazione di dati genetici e di imaging).

  1. uso di tecniche di fusione dei dati multimodali
  2. implementazione di modelli bayesiani per integrare informazioni genetiche e di imaging
  3. tecniche di correzione per test multipli (es. FDR, Bonferroni) per quanto concerne l’analisi statistica
  4. Ricorso a modelli lineari misti per gestire la variabilità tra i soggetti

E poi ogni modello va naturalmente validato (step di cross-validazione), con conseguente test su dataset indipendenti per verificare la dinamica di generalizzazione. E’ chiaro che se ci riferiamo alla necessità di elaborazione di volumi importanti di dati di imaging, la necessità di calcolo sarà legata a prestazioni alte (HPC), con di seguito la parallelizzazione per velocizzare i tempi di elaborazione.

Conclusione

Parlare di autismo vuol dire oggi avere la capacità di comprendere una dimensione unica all’interno della quale si muove un mondo di soggetti con forme più o meno importanti del disturbo. La ricerca farà sicuramente del bene all’approccio terapeutico più idoneo rispetto ad ogni singola realtà. La presa in carico di un bambino autistico deve essere una continua ricerca di soluzioni appropriate alla gestione e alla linea di supporto continuo per l’intera vita. Capire quelle dinamiche genetiche che causano il disturbo equivale allora ad una maggiore comprensione di ciò che si va a trattare, consapevoli di dover attuare specifiche linee di potenziamento e di confronto.