• 30 October 2024
Amir Baldissera

La prima cosa che fa Amir Baldissera quando inizia un’intervista, è quella di sorridere al suo interlocutore. Pacato, serio, e consapevole delle cose che dice (perché conosciute davvero nel profondo) è l’alternativa seria alla schiera di tuttologi che si espongono continuamente alle platee ignare della loro effettiva capacità di mettere in pratica ciò di cui parlano. Laureato in Scienze Cognitive e Intelligenza Artificiale, conosce molto bene il mondo imprenditoriale e le linee che caratterizzano oggi, soprattutto nel nostro Paese, la corsa (forse un po’ lenta) verso la digitalizzazione. Dal 2014 è co-fondatore di Experenti, startup italo-americana impegnata nella realizzazione di progetti di Mixed Reality. Devo dire che è stato un piacere ascoltare il suo pensiero, immaginando quelle vedute future che mi ha prospettato e che spero vadano a caratterizzare l’evoluzione tecnologica delle nuove generazioni.

Il pensiero profondo dell’intelligenza artificiale. Cosa dobbiamo aspettarci o forse in che cosa dobbiamo sperare.

Bisogna capire a che cosa facciamo riferimento. Se ne fa un gran parlare, se ne dicono di ogni. L’intelligenza artificiale non è una cosa recente, ci si lavora dal secolo scorso. In quest’ultimo lustro sta avendo però un balzo in avanti davvero incredibile. L’AI, come tutte le innovazioni tecnologiche, può essere un valore aggiunto davvero importante perché può permettere all’umanità di essere “aumentata” e accompagnata in molte delle sue funzioni. Come tutti gli strumenti tecnologici però può avere pregi e anche difetti. Può essere pericolosa se non ben utilizzata. Ci sono sistemi di intelligenza artificiale che ci permettono un’interazione quasi simile a quella tra due esseri umani, anche se questo ci fa riflettere perché è come se la stessa AI ci prendesse un pò in giro. E questo capita quando chiacchieriamo con chatbot, e parliamo in questo caso di AI generativa.

E’ un pò come quando vediamo un film in 4K, in realtà sappiamo benissimo che si tratta di una vera e propria illusione, però ci piace. Cosa diversa invece è arrivare a dotare la struttura artificiale di una vera e propria mente. Mi spiego meglio. Noi ad un certo punto dovremmo arrivare alla creazione di una macchina che riesca ad esprimere un pensiero realmente autonomo. Ci si sta lavorando certo, ma non siamo ancora così vicini, anche perché come esseri umani non sappiamo ancora perfettamente cosa sia la nostra stessa mente umana. E di tipologie di intelligenza umana ce ne sono davvero tante, ne cito alcune: quella emotiva, quella cognitiva, la visuo-spaziale. E poi c’è l’altro passaggio, quello che si riferisce alle macchine, ossia abbiamo una determinata cosa che produce determinate informazioni e genera precisi output. In questo caso però parliamo di autocoscienza, quando l’essere è capace di comprendere la propria individualità rispetto al contesto che è ad esso esterno. Noi esseri umani siamo esseri autoconsapevoli. Riuscire a creare una macchina che sia consapevole di se stessa è un obiettivo arduo al quale però si sta lavorando. Quando ci saremo riusciti allora sarà questa la prima specie vivente non basata sul carbonio. Un’intelligenza artificiale autocosciente diventerebbe così una specie vivente digitale basata su di una struttura completamente diversa da noi.

La formazione è alla base della consapevolezza globale. Le nuove tecnologie XR aprono un ventaglio di possibilità infinite. Quali sono le basi tecnologiche fondamentali che ogni azienda dovrebbe avere per formare i propri dipendenti?

Dipende da settore a settore. Ci sono certi ambienti in cui l’informazione didattica è cruciale e dove l’e-learning ha permesso di semplificare la trasmissione delle nozioni in maniera eccezionale. Falliva però ogni volta in cui si trattava di tematiche che facessero riferimento ad una modalità esperienziale. L’e-learning è buono per la parte teorica, ma si ferma qui. Oggi il grande passo in avanti è invece quello che si sta facendo attraverso lo spatial computing e l’esperienza in Realtà Virtuale (VR). Questi possono permettere di rendere efficace la tecnologia anche nell’apprendimento di attività pratiche di vario genere e grado. Faccio l’esempio dei corsi sulla sicurezza sul lavoro. Quando si è presenti nel contesto di emergenza allora ci troviamo di fronte ad una dinamica di formazione completamente differente. Questo perché la reazione emozionale dell’utente immerso non è distonica. Ed è proprio attraverso questa meravigliosa illusione che si riesce a ricordare perfettamente ciò che si è ascoltato visto ed appreso. Tutto ciò ci dice semplicemente che la Realtà Virtuale è capace di sollecitare quelle emozioni anche molto profonde che l’utente sente nel momento in cui è partecipe diretto di un determinato evento. La VR suscita le medesime emozioni di uno scenario reale, e questo è ormai comprovato da tempo. Per questo motivo può essere interessante non solo per le attività di training ma anche per la simulazione perfetta di corsi specifici. Questo è quello verso cui ci si sta aprendo. E tutti quelli che sono gli aspetti legati al Metaverso racchiudono tutto ciò, come ad esempio l’interazione social all’interno di un’azienda che io ritengo davvero molto utile. La Realtà Virtuale multiutente è ormai da preferirsi all’esperienza della singola persona. Questa è la strada che vedo delinearsi sempre di più.

Qual è il target generazionale che si sta maggiormente aprendo all’innovazione tecnologica, e quale invece quello che continua ad alzare muri, e perché?

La predisposizione alla tecnologia è qualcosa di radicato nelle diverse generazioni. Uno della generazione Z è portato naturalmente verso tutto questo. Un boomer sarà invece un immigrato all’interno del mondo tecnologico proprio perché la formazione che ha avuto non era assolutamente connessa con il digitale. Dai boomer, alla generazione X, ai Millennials, alla generazione Alpha, la scelta è varia e i casi sono uno diverso dall’altro. Mia figlia di sei anni parla con Alexa nel modo più naturale possibile. Un bambino che oggi interagisce con un chatbot conversazionale fa già parte di quella comunicazione domotica casalinga del futuro. Questo vuol dire che un giorno lo farà in maniera naturale con qualunque altra struttura artificiale. Per gli anziani è invece tutto un po’ più complicato. Per la generazione Alpha già sappiamo che non ci sarà il touch ma tutto sarà a livello vocale ed emotivo. Tanto quanto per la generazione X il mouse e tastiera sono stati due compagni fondamentali. E questa era diciamo così la risposta più facile. Quella difficile e che con la Realtà Virtuale ad esempio, i casi vanno da persona a persona. Ci sono stati ottuagenari molto più consapevoli dell’utilizzo e dell’innovazione di un device, rispetto a ragazzini che hanno dimostrato davvero poco interesse verso l’utilizzo degli stessi. Tutto questo naturalmente cambia con l’approccio che si ha e con la mentalità (e sua apertura) che caratterizza ogni individuo.

Realtà Virtuale, Aumentata e Mista, a che punto siamo in Italia?

In Italia siamo molto indietro. Il livello di adozione è davvero basso. Meta Quest 3 è stato uno dei gadget più venduti lo scorso anno. Le aziende però hanno iniziato a muoversi un po’ di più, tanto che il device non è più solo un elemento consumer ma è anche diventato business. Il vincolo potremmo dire che al 90% è legato all’hardware. Si sperava che in tempi più brevi ci sarebbero state definizioni creative di design relative a device molto più economici e dallo styling molto più leggero. Di certo ci stiamo avvicinando, ma ancora non abbiamo un livello di comodità tale da generare un utilizzo dei visori e della dimensione virtuale che sia realmente di massa. Il rallentamento è stato dunque dovuto unicamente alla componente hardware.

User experience e tecnologie abilitanti, come sta cambiando lo scenario del mercato?

Oggi la user experience è tutta su tablet e cellulari, mentre l’immersività non ha ancora una propria letteratura. Un aspetto molto importante è quello di riuscire a maturare un’esperienza che sia per tutti. Una user experience in modalità immersiva che sia accessibile da ognuno, questa potrebbe essere la soluzione. Allora potrei dire che per poter aumentare l’engagement tecnologico, la chiave potrebbe essere quella di definire sempre di più le aggregazioni. Questo caratterizzerebbe in maniera molto positiva il mercato. Avere aziende specializzate nelle singole tecnologie con elementi di ottimo livello nello specifico di ogni tecnologia in grado di collaborare su più fronti e con quante più realtà possibili. Realtà aziendali che siano in grado di mettersi insieme per comprendere cosa sia necessario realizzare per gli utenti. I partner tecnologici devono assolutamente essere specializzati in ciò che fanno. 

Farsi affiancare da chi è focalizzato in maniera seria su determinate specificità tecnologiche senza essere tuttologi, diventa oggi la chiave del successo per poter affrontare il mercato senza avere alcuna paura di affrontare i vari competitor. Correre da soli fa stancare molto più velocemente e non fa andare nessuno davvero molto lontano. Creare sempre un gruppo credo sia l’unico modo nel nostro Paese per riuscire ad andare da qualche parte. Conosciamo aziende piccole che creano veri e propri gioielli della tecnologia ma che purtroppo camminano da sole, e grandissime aziende che cavalcano l’onda ma che poi alla fine raggiungono un obiettivo di nicchia. Le tecnologie con tutti i loro device devono smetterla di essere unicamente dei gadget, ma devono dare credibilità ai loro prodotti selezionando sempre le linee di incontro tra le varie realtà aziendali ed evidenziando la parte più importante che le accomuna. Credo che camminare insieme sia la chiave più giusta.