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Indice
- Una luce di speranza nel declino cognitivo
- Un’esplorazione delle complessità e nuovi paradigmi
- Esempi concreti di applicazioni
L’Alzheimer, una malattia neurodegenerativa devastante, continua a rappresentare una delle strade più ardue per la medicina moderna. La perdita progressiva della memoria, del pensiero e del linguaggio continua a colpire milioni di persone in tutto il mondo, portando con sé un carico emotivo ed economico incommensurabile. Comprendere i meccanismi alla base dell’Alzheimer e sviluppare strategie efficaci per il monitoraggio e la cura è quindi una priorità assoluta. In questo contesto, la neurogenesi, la capacità del cervello di generare nuovi neuroni, e l’intelligenza artificiale si è scoperto che insieme possono offrire prospettive promettenti.
Una luce di speranza nel declino cognitivo
Per lungo tempo si è creduto che il cervello adulto fosse incapace di produrre nuovi neuroni. Come ben sappiamo però, ricerche pionieristiche hanno dimostrato l’esistenza della neurogenesi adulta, in particolare in due regioni cerebrali: l’ippocampo, cruciale per la memoria e l’apprendimento, e la zona subventricolare, che riveste i ventricoli laterali. Questa scoperta ha riacceso le speranze per il trattamento di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. Sebbene i meccanismi esatti che la regolano e il suo ruolo nell’Alzheimer siano ancora in fase di studio, si ipotizza che un aumento della neurogenesi ippocampale potrebbe compensare la perdita neuronale associata all’Alzheimer, migliorando la memoria e le funzioni cognitive. Inoltre, la stessa andrebbe a contribuire all’eliminazione di quelle proteine tossiche, come le placche amiloidi e i grovigli neurofibrillari, che sono hallmarks della patologia. Modulare la neurogenesi equivale (e non usiamo il condizionale) quindi ad influenzare la nostra plasticità sinaptica. In questo modo verrebbero rafforzate le connessioni tra i neuroni, migliorando la resilienza del cervello.
Diversi studi hanno dimostrato che alcuni fattori, come l’esercizio fisico, una dieta sana e l’apprendimento di nuove competenze, possono stimolare la neurogenesi. Per sfruttare appieno il potenziale della neurogenesi nel trattamento dell’Alzheimer, è necessario comunque comprendere i meccanismi molecolari e cellulari che la regolano e dare il via ad un’analisi continua in vivo per un monitoraggio che possa portare alla personalizzazione della cura, anche farmacologica.
Un’esplorazione delle complessità e nuovi paradigmi
L’Alzheimer è una malattia complessa e multifattoriale. La diagnosi precoce è fondamentale per poter intervenire tempestivamente e rallentarne la progressione. Ad oggi, la diagnosi tradizionale si basa su test cognitivi e scansioni cerebrali, che spesso non sono in grado di rilevare i cambiamenti sottili che si verificano nelle prime fasi. Le attuali terapie si concentrano principalmente sul trattamento dei sintomi, come la perdita di memoria e i problemi comportamentali. Non esistono ancora farmaci in grado di curare o arrestare la progressione della malattia.
L’intelligenza artificiale si presenta allora come un’opportunità reale di progresso in questo campo. La diagnosi precoce è uno dei punti da cui partire. Algoritmi di deep learning possono analizzare immagini di risonanza magnetica (MRI) e tomografia ad emissione di positroni (PET) per rilevare cambiamenti sottili nel cervello che possono indicare l’Alzheimer in fase iniziale. L’AI può identificare anche i geni e le varianti genetiche che aumentano il rischio di sviluppare la malattia. Parola chiave può essere quella del monitoraggio attraverso dispositivi indossabili come smartwatch e sensori di movimento.

Esempi concreti di applicazioni
ADNI (Alzheimer’s Disease Neuroimaging Initiative), un consorzio internazionale che raccoglie dati clinici, genetici e di imaging di pazienti con Alzheimer per sviluppare strumenti di diagnosi e trattamento basati sull’AI. ADNI è una realtà globale, non-profit, dedicata a migliorare la diagnosi precoce e il monitoraggio della progressione dell’Alzheimer. È una delle più grandi iniziative al mondo che raccoglie dati multimodali sull’Alzheimer. In questa linea l’AI viene coinvolta attraverso questi passi: MRI (Risonanza Magnetica) per misurare il volume del cervello e l’integrità strutturale, PET (Tomografia a Emissione di Positroni) per rilevare la presenza di placche amiloidi e grovigli tau, sequenziamento del genoma per identificare fattori di rischio genetici, liquido cerebrospinale (CSF) e sangue per analisi di biomarcatori.
Ricordiamo sempre che l’intelligenza artificiale è uno strumento, e il suo successo dipende dalla qualità dei dati utilizzati per l’addestramento e dalla competenza degli esperti che la utilizzano. La collaborazione tra ricercatori, medici, ingegneri e aziende è fondamentale per sfruttare appieno il potenziale di questa incredibile tecnologia nella lotta contro l’Alzheimer.