• 24 November 2024
Decentred Architecture

Il mio profilo di giocatore, secondo il test di Bartle, è quell’Esploratore.
Quando giochiamo noi Esploratori siamo motivati soprattutto da una cosa: andarcene in giro e lasciarci guidare dall’ignoto. È qualcosa che ritrovo nel genere di videogiochi che preferisco, come gli Open World ed i Soulslike (datemi Elden Ring e nessuno si farà del male!), ma anche nella vita.
Non mi piace frequentare lo stesso posto troppo a lungo, non mi piace frequentare delle persone solo perché abbiamo un passato in comune. Mi piace scoprire nuovi luoghi, andare a scoprire cosa c’è dietro quell’ultima curva anche quando l’ultimo treno per lasciare Bruges sta partendo.


Così non potevo non provare una simpatia immediata per Leonardo Marchesi, co-founder di Decent Architecture insieme a Michel Vieira. Decent Architecture è uno studio di architettura per il Metaverso, che si rivolge ad aziende e privati intenzionati a costruire spazi in cui hostare eventi ed esperienze. Ci siamo incontrati per caso, mentre giravo per il loro spazio CRNFT, che ospita la collezione del sito omonimo dove è possibile acquistare NFT artistici davvero molto belli. Ero appena entrato e ad un certo punto ho sentito una voce dire “Ehy Architetto!”. Abbiamo iniziato a parlare subito, entrano subito in sintonia.

“Nel nostro spazio c’era appena stato un evento di Dope Stilo (un musicista di New York che ogni settimana organizza un evento su Spatial) e all’improvviso vedo la scritta “Architetto della Mente join the space” e poi ho visto il tuo avatar, che sembravi un mezzo filosofo, e non potevo non parlarti.”
Abbiamo conversato per pochi minuti in realtà, ma tanto è bastato per chiedergli se gli andava di essere intervistato, ed eccoci qui. Alla domanda “Chi sei?” Leonardo raccoglie le parole e diventa un fiume in piena. Mi racconta dei suoi inizi come Architetto e non nasconde una certa frustrazione rispetto ad un mondo del lavoro che chiede molto ma da poco in cambio.

Facciamo che c’è un prima ed un dopo. Prima lavoravo nello Studio di altri Architetti, poi mi sono licenziato perché non vedevo molte prospettive, come molti giovani architetti. Ma non mi piaceva neanche la città, all’epoca abitavo a Londra, e non sapendo cosa fare sono tornato in Portogallo. Quando mi sono licenziato non avevo molti soldi, così ho comprato una tenda ed ho iniziato a camminare verso sud finché non sono arrivato a Sagres, nella punta a sud del Portogallo. Nessuno ci vivrebbe mai, è nell’Algarve, ma un Algarve selvatico, pieno di vento. Ma a me piaceva. Ho lavorato in un ostello dove ho conosciuto un dentista tedesco che veniva ogni mese e mi ha chiesto “Perché non vieni anche te ad Ericeira? Potresti tornare a lavorare come architetto e farlo per conto tuo”. Ho aspettato qualche settimana e sono partito. Sono arrivato di notte, mi sono chiesto cosa ci facessi lì. Ma la mattina dopo ho aperto la finestra e… un sole enorme, gente in strada, un clima splendido e mi sono detto ‘Io resto qua!’. Così mi sono messo in proprio, aiuto altri architetti con i render, ho un canale youtube dove parlo dell’architettura dell’antico Egitto ed infine ho aperto Decent Architecture con Michel, se vuoi te ne parlo”.

Certo. Infatti io vi ho conosciuto proprio nell’arena di CRNFT, dove sono arrivato colpito dal nome Decent Architecture. Parlamene un po, raccontami di questo progetto, chi sei, dove vai?

“Certo. Beh al momento Decent Architecture siamo io e Michel, entrambi con 10 anni di esperienza nel settore. Tutto è iniziato circa un anno fa, a Novembre 2021. Io ero già nel mondo crypto da circa due anni, mentre Michel era nuovo. A Marzo di quell’anno la Mars House di Krista Kim in formato NFT è stata venduta per 500 000 dollari e ci siamo detti: “Questa roba la possiamo fare anche noi”.
Abbiamo capito che potevamo fare qualcosa anche noi in questo mondo ma avevamo bisogno di un marketing enorme. Abbiamo preso tempo ma ci siamo accorti che altri architetti stavano entrando e così ci siamo dati una scadenza: entro Natale avremo un nome ed un logo. È passato quasi un anno ora. I primi sei mesi sono stati duri. Avevamo altri lavori, Michel è anche papà. Sono stati mesi duri perché non eravamo nessuno nel mondo Crypto, ma con calma, accumulando contatti su Discord, twitter, abbiamo iniziato a conoscere gente e ricevere interesse. Abbiamo svolto una marea di meeting, ma non riuscivamo mai a chiudere un contratto. Ci siamo chiesti perché e abbiamo capito che chiedevamo troppo. Così abbiamo ragionato e capito cosa serviva davvero per funzionare. Lì le cose sono cambiate, ad esempio l’arena è diventata CRNFT con la sua collezione di arte, il 20 e 21 ottobre ci sarà Enonautilus, il primo evento italiano dedicato al vino nel Metaverso. Quindi i primi mesi duri, ma adesso cominciamo a vivere di questo.”


Quella di Leonardo è Michel è dunque una storia fatta di duro lavoro, di due ragazzi che oltre ad aver avuto un’intuizione hanno anche saputo capire come trasformarla in un business redditizio.

E quindi adesso dove volete arrivare?
“Dove vogliamo arrivare? Beh, una cosa che ho capito di me è che non voglio rotture di scatole. Non mi interessa avere un’impresa con 50 o 100 persone. Tra un anno io e Michel ci vediamo con 5 persone, buone, in Portogallo, perché il suo obiettivo è tornare qui. Lui adesso vive a Londra ma vorrebbe far crescere suo figlio qui in Portogallo ma guadagnerebbe di meno. Decent Architecture è il suo obiettivo. Vogliamo lavorare da qui, dal mare, perché significa avere uno stile di vita migliore rispetto a quello che avevamo prima. Che è quello che vogliamo in fondo: stare meglio di prima.”

Infatti ti chiedo questo: cosa di ciò che state facendo ora sta migliorando le vostre vite? E cosa significa migliorare la vostra vita? Economicamente? Come stile di vita? Io ad esempio ho capito che ti assomiglio, non immagino di avere una grande impresa e le persone che conosco che ne hanno una spesso non li invidio. Per questo sto aprendo uno Studio Associato nel Metaverso insieme a Giovanna Tantucci, un architetto, così che ognuno di noi possa concentrarsi su ciò che sa, può e vuole fare.

“Le frustrazioni che provavo nel lavorare per altri architetti erano principalmente due. Lavorare troppe ore e lavorare per niente, per pochi soldi. Mi sentivo in prigione e mi chiedevo spesso come uscirne. Sono passati due anni ed ora con Michel siamo qui e non ho più di questi problemi. Ora sono a capo di me stesso, sono io a decidere quando lavorare, a fare i deals, a decidere il business ed è una cosa eccitante. Lavoro quando voglio, ci metto l’impegno che voglio e dato che sono io a scegliere ce ne metto anche di più. Quando lavori così puoi lavorare da dove vuoi, anche dalle Maldive se ti pagano bene. Lo fai da dove vuoi, quando vuoi e l’unica responsabilità che hai è consegnare un prodotto ottimo nei tempi previsti. Basta. Non hai l’ingegnere civile che ti dice “Sposta la colonna” e allora devi cambiare duecentomila cose nel progetto. L’architettura tradizionale non ne vale la pena, per quello che ne guadagni”.

Ascoltando Leonardo non posso non pensare a quanto in questo periodo si stia parlando del fenomeno del Quiet Quitting, che spesso viene considerato una forma di debolezza o segno di una generazione di bamboccioni viziati. Eppure è innegabile che il mondo di oggi sia diverso rispetto a quello delle passate generazioni. Non è cambiato il bisogno o il valore del lavoro, ma di sicuro oggi non abbiamo la certezza che porterà a qualcosa. Non è ciò che sta dicendo Leonardo? Vale la pena spaccarti la schiena dalla mattina alla sera lavorando in un ambiente che non ti riconosce lo sforzo e forse non lo farà mai, quando puoi fare lo stesso, magari guadagnando di meno (almeno all’inizio) ma con una qualità della vita migliore?

Sai, mi stai facendo pensare ad una cosa che mi ha detto Giovanna quando ha costruito il suo primo spazio su Spatial. La sua difficoltà non è stata progettare o costruire, ma lasciare da parte l’abitudine del costruire qualcosa di reale. Nel Metaverso non ha limiti e può costruire ciò che vuole, anche cose che non potrebbero esistere. E questo porta a due conseguenze. La prima, positiva, è che non ci siano limiti alla fantasia e all’utilizzo di materiali. La seconda, potenzialmente negativa, è costruire spazi che siano magari incredibili da vedere, ma poco funzionali, ridondanti.

“Sai, io lo considero come fosse un videogame. Non importa molto se l’esperienza da creare sia realistica o meno. Ed abbiamo una sorta di mantra: non perché lo puoi fare, allora lo devi fare. Che magari può essere anche una scusa, eh. Noi ad esempio non abbiamo niente come le curve, ma siamo stati formati in un altro modo. Quando costruiamo vogliamo dunque portare chi siamo. Ciò che vogliamo fare è portare nel Metaverso spazi calmi e radicali. Spazi che quando ci entri sia tutto chiaro, sai cosa stai vedendo, con due forme che ti creano lo spazio. La calma dunque nell’aspetto formale ma anche nell’uso delle texture.”

Mi piace questo concetto di “Calma”. È qualcosa che torna spesso nel mio lavoro di coaching, in cui il conflitto più grande che affronto con i miei clienti è “Vuoi avere ragione o vuoi avere pace?”. Perché se hai ragione e solo perché hai il coltello dalla parte del manico, sicuro di volerlo usare?
Quando ragiono sull’uso dello spazio nel Metaverso è qualcosa che torna perché la difficoltà di molte persone non è tecnica, ma psicologica. Nel 2022 è difficile creare un’esperienza utente pessima (almeno a certi livelli e con certi servizi in cui i budget ed i tecnici abbondano), ma nonostante questo ci sono persone non abituate al digital che resistono a certe novità. Molte persone credono che entrare nel Metaverso sia difficile, quando basta cliccare su un link.
In fase progettuale quindi rendere più facile l’accesso ma anche l’esplorazione di luoghi aiuterà molto l’espansione del Metaverso.
In questa fase converrebbe parlare di Web 2.5.

Secondo me è semplice. È come quando abbiamo iniziato ad usare i social. Io all’inizio non volevo farlo, come molti, ma perché poi ci siamo iscritti tutti? Perché era più divertente, per condividere foto, perché potevi dire quello che volevi, il che ovviamente è qualcosa che sembra lontano oggi, sembra un’altra epoca. Era un mondo che si apriva. Starne fuori andava bene, ma starne dentro era anche divertente. Quindi quello che dici, l’accesso in massa delle persone succederà quando sarà più conveniente. Quando le persone capiranno che starci dentro ti permette di tirare fuori qualcosa di buono, magari anche lato business, lo faranno. Come abbiamo fatto io e Michel”.

Sai, mi fai pensare ad una cosa che anticipa la domanda che ti avrei fatto. Qualche giorno fa parlavo con mia zia e mi diceva che a casa lei ha un problema. È un’appassionata di cinema ma la televisione che ha a casa è piccola e non può metterne una più grande per una questione di spazio. Potrebbe risolvere il problema con un visore, che ti permette di avere letteralmente un cinema davanti gli occhi pur stando sul divano di casa. Quando ho raccontato ad un amico di questa conversazione mi ha detto “Quindi potrei avere un cinema? E potremmo guardare lo stesso film insieme mentre parliamo? Perché se è così mi hai fatto venire voglia di comprarne un visore”. Questo mi ha portato a fare un ragionamento: le problematiche che risolve il metaverso per non sono le stesse che potrebbe risolvere per persone che non lavorano online, ma che magari cercano esperienze sociali o di soddisfare i propri hobby in compagnia. Così ho iniziato a costruire un cinema su un grattacielo di New York ispirato da un post di Antonio Moro su Facebook da caricare su Spatial per creare uno spazio sociale nel Metaverso, che risolve un problema legato a condividere una passione in comune pur stando a distanza.
Quindi ecco la domanda: quali sono le problematiche che il Metaverso risolve per i tuoi clienti specifici?

“Secondo me quello che abbiamo ora è già più di quello che serve a loro. Il Metaverso è già più avanti rispetto a quello che le aziende pensano possa servire loro. Il nostro lavoro è far capire loro le possibilità. Forse c’è bisogno di lavorare su quello che ha detto anche Zuckerberg, lavorare sul concetto di “sentire la presenza”. Se l’obiettivo è io sono qui e te a New York, come facciamo a far sentire la presenza reciproca? Su Spatial siamo già a buon punto per questo. Io però una cosa che spero è che non inseriscano sugli Avatar le Vanity Metrics come i like o i follow. Se mi entra nello spazio uno con 2 milioni di follower gli andranno tutti addosso come mosche e questo renderà lo spazio tossico come accade sui social. Che poi sta già accadendo. Bisognerà capire come si evolverà, perché come fa Spatial a guadagnare? dove sono le pubblicità?”

Spatial non si fa pagare i terreni come Decentraland però potrebbe arrivare a far pagare l’aumento del peso dell’oggetto in upload. Attualmente siamo passati da un limite di 60 mb a 100 mb e già la differenza in termini di qualità estetica dello spazio è innegabile. Ciò che personalmente credo però è che una vera differenza nel Web 3 ci sarà solamente se accompagnata da un preciso shift mentale. Per esempio io non credo molto nel concetto di Decentralizzazione.

“Perché la Decentralizzazione è un mito, non esiste davvero.”

Ciò che serve oggi in effetti non è solo una preparazione tecnica, ma anche culturale, perché spesso un’azienda uno spazio nel Metaverso lo costruisce, ma non sa bene che farci.

“È un problema generazionale. È questione di età, di visione. Io e te sappiamo quali vantaggi il Metaverso può darci. Se domani un hotel a caso decide di fare eventi nel Metaverso invece che nella loro struttura, risparmierebbero su qualunque cosa. Dimmi te cosa ci sarebbe di irrazionale in questo? A livello di business intendo. C’è solo da guadagnarci. Ma loro non lo sanno. questo è il nostro mondo, il mondo dei 30enni e dei 40enni.”

Sono d’accordo con questo discorso della generazionalità. Una volta ero a pranzo con una cliente e mi chiedeva perché avrebbe dovuto usare Spatial per venire a vedere un video che potrebbe visualizzare anche su Youtube. Il figlio semplicemente ha risposto che così però sarebbe più divertente. Ma il figlio è appunto abituato a stare dentro Fortnite e a muoversi con un avatar. Il che si lega ad un altro aspetto: la quantità di eventi sul Metaverso che vengono fatti in presenza e che non hanno un corrispettivo virtuale.
Personalmente credo che la vera differenza nel Metaverso sarà soprattutto nel differente rapporto che ci sarà tra Content Creator e Content Consumer. Adesso questo rapporto è tipo gerarchico , con il primo che ha qualcosa da dire ed il secondo che inevitabilmente finisce con il rispondere, in una relazione duale e gerarchica. Nel Metaverso però non basta creare un contenuto, come uno Spazio. Devi fare in modo che la persona che ci entra dentro ne sia protagonista attivo.

“Sono d’accordo, credo che molti fenomeni dei social non ci saranno più, ma se ne creeranno altri nel web3. Credo sia un’utopia quella dell’orizzontalità delle relazioni. A me piacerebbe avere un mondo senza gerarchie ma non è così e non sarà così neanche il web3. Nel nostro spazio abbiamo 900 visualizzazioni, che è un ottimo risultato. Ma Vogue Singapore ne ha 20k. Questo significa che se loro decidono di vendere un Jpeg a 500 euro, lo possono fare. Il potere è potere. Quindi cos’è per noi il Web3? La possibilità che qualcuno come noi si inventi qualcosa da zero ed ha la possibilità di spaccare. Che siamo noi, tu o qualcun altro, perché è un mondo nuovo.”

Mi fai pensare ad un manga chiamato “Fire brigade of Flame”, dove alla fine uno dei protagonisti si chiede se davvero tutte le persone “valgano” allo stesso modo, se insomma tutte le opinioni abbiano lo stesso peso. Tendenzialmente sono d’accordo, credo anche io che esistano delle gerarchie, ma che chi occupa una posizione di potere sia responsabile delle persone su cui si eleva.

“Capisco. Il concetto del capitano della nave, come Magellano che parte con 250 persone e ne è responsabile. Io penso però che ciò che ci distingua dagli animali sia il fatto che noi esseri umani cerchiamo di costruire un mondo in cui la legge del più forte è meno pesante, e questo è il mondo occidentale. Abbiamo tutti lo stesso diritto di vivere, di avere una casa, magari non la possibilità di acquistarla, ma abbiamo il diritto. Ma è comunque una costruzione, un qualcosa di artificiale, questa percezione non è naturale.”


E sai, io non credo che qualcosa di naturale sia per forza giusto o invincibile. Noi stiamo comunicando, che è qualcosa di naturale, ma attraverso un mezzo artificiale, cosa che gli animali non potrebbero inventare e che non per questo lo rende meno importante. Con il Cambiamento Gentile, la mia filosofia di coaching, insegno ad esempio a tenere conto di fattori come il Tempo, ovvero che a prescindere dalla grandezza del tuo obiettivo, l’importante è imparare a comprendere il processo che ti porta da un punto A ad un punto B. Questo è qualcosa di difficile da fare e credo che una vera evoluzione sarà possibile solo quando ci sarà uno shift mentale in cui non ci baseremo solamente su cosa è naturale, ma concentrandoci sul comprendere davvero cosa vogliamo ottenere.

“Speriamo di vederla quest’era dell’Acquario allora” mi dice Leonardo, ridendo.

“Io sono immortale, quindi non mi pongo il problema”, gli rispondo, ridendo anche io.

La conversazione si è poi spostata su Spatial dove Leonardo mi ha mostrato il suo Labirinto… ma è un racconto per un altro giorno 🙂

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