• 20 November 2024
Metaverso

Anche se continuamente leggiamo post e guardiamo video sui canali social che ci descrivono la dimensione virtuale di una land nel Metaverso, questo non vuol dire comprenderne la vera sensazione di immersività.

Il nostro io dilatato

Ci sarebbe da fare un’analisi ed uno studio accurati su molte delle dinamiche che scandiscono l’ingresso di un utente all’interno di un environment. Cosa caratterizza il nostro essere “dentro” la Realtà Virtuale? Come ci sentiamo? Cosa percepiamo? E’ chiaro che questo studio andrebbe fatto su quelle che sono le sensazioni che si provano indossando un visore. Non valgono né i computer di ultima generazione, né gli smartphone pieni di applicazioni. Siamo noi, dentro un mondo che assomiglia moltissimo a quello che siamo abituati a vedere e a percepire. E quello che sentiamo, anche come sonoro, ci invita a lasciarci cullare dall’illusione che forse si tratti di una realtà parallela.

Bene, restiamo su questa strada. Dipende molto naturalmente dalla tipologia grafica e dalla definizione degli ambienti. Ci sono piattaforme immersive virtuali che sono davvero incredibili per la “finissima” lavorazione dei particolari. Importante anche l’accezione fisica di un avatar. Più li avvertiamo come somiglianti al nostro percepirci, più avremo una predisposizione psicologica ad uniformarci a questa nuova identità tutta digitale. Perchè siamo come gemelli che rinascono e crescono in contemporanea nella compartecipazione sensoriale continua e sempre sorprendente.

La realtà virtuale che avvolge

Va fatta ora una chiara distinzione tra quello che noi vediamo e sentiamo e ciò che ci accade intorno. E’ chiaro che saremo accolti al nostro ingresso nel mondo del Metaverso da un ambiente “comodo” per lo sguardo e creato con un’illuminazione che ci renda partecipi attraverso uno stato psicologico di rilassamento. I colori che di norma si utilizzano nel mondo parallelo virtuale, sono sempre positivi. Il bianco, il rosa pallido, il blu tenue che tocca l’azzurro. Il rosso viene riservato a qualcosa che magari la piattaforma, e quindi lo spazio, vogliono portare alla nostra attenzione. E’ chiaro che se avremo fatto il nostro ingresso all’interno di una stanza adibita ad una meeting room, le finestre saranno ampie e piene di paesaggi importanti (professionalmente parlando). Il tavolo sarà di noce e le sedie avranno un design all’ultima moda. Ogni environment che si rispetti nel Metaverso duplica la migliore delle situazioni e con un ritorno profilato che dia credito a chiunque riesca a sedersi con noi al tavolo in questione.

Quindi quello che noi vediamo è ciò che è stato strutturato per accogliere le nostre intenzioni, in questo caso lavorative, nel migliore di modi. Se ci sarà un brainstorming allora la VR ci darà la postazione più idonea per accogliere e raccogliere i partecipanti. Potremo interfacciarci così in maniera elegante e con tutte le caratteristiche che si addicono ad un evento del genere. Avremo e vedremo il nostro computer (la tastiera nello specifico) e sarà quella collegata alla reale tastiera del nostro PC. Avremo un database di informazioni legate al nostro ruolo all’interno del meeting e saremo supportati da un avatar che avremo creato nel modo più efficace.

Lo sguardo sulla sensazione

Quando utilizziamo un visore e siamo immersi nel pieno della VR, abbiamo a disposizione uno spazio più o meno grande, dipende dalla location “reale” all’interno della quale ci stiamo muovendo. Certo se ci colleghiamo per una riunione da una stanza con una metratura di molto ridotta, che si tratti di casa o di ufficio, non sarà la stessa cosa che farlo da un grande salone di una villa. Questo però non toglie nulla alla nostra possibilità di girarci intorno per capire cosa accade e soprattutto per avere psicologicamente una visione reale della “non realtà”. Il rendersi conto di uno spazio avviene di solito con l’esplorazione fisica di questo attraverso il movimento. Nel Metaverso tutto è differente. Abbiamo la possibilità di un teletrasporto che avviene in automatico e senza la necessità di muoverci, attraverso il controller che teniamo nella mano. Possiamo così esplorare il mondo circostante, stando fermi. La decisione spetta anche a noi. Trovare una modalità di interazione che sposi alla perfezione le due realtà, quella spaziale reale e quella metaversa, è forse la soluzione più idonea.

Land virtuali e pensiero predittivo

Normalmente siamo abituati a pensare al mondo e ai suoi accadimenti, attraverso la nostra esperienza visiva e mnemonica. Sappiamo che se le cose sono in un certo modo, ad una percentuale molto alta si profileranno in una data maniera e in una data circostanza. Quando un utente entra nella dimensione virtuale, tutto questo gli va costruito attorno. Non siamo soltanto spettatori dello spazio che ci ospita (questo lo lasciamo alla location creata per lavorare), ma siamo avatar che interagiscono con l’ambiente. E la nostra interazione passa proprio per un canale di struttura progettuale che sarà alla base del mercato del prossimo futuro.

Questa è infatti materia per i brand e per tutte quelle aziende che sposano l’idea di attrarre i clienti all’interno di uno spazio immersivo. Lavorare sul contenuto oltre che sulla location virtuale è uno degli stimoli più forti che già da ora stanno caratterizzando le intenzioni delle grandi firme. Sono infatti tanti i settori che lavorano a questa nuova condivisione di una storia che porti poi alla fine all’evoluzione della scelta di un dato prodotto. Qui c’è tutta una strada che percorre con una velocità incredibili settori specifici, andando dal marketing fino all’industria settoriale e alla dimensione dell’Healthcare. C’è molto da raccontare, ma restano le dinamiche di approccio psicologico giuste. Come far capire ad un utente immerso quale sia la strada giusta di interazione? Sicuramente costruendogli intorno ciò che lui desidera. La personalizzazione degli spazi virtuali sarà una costante del prossimo approccio commerciale al cliente “che sente” in maniera immersiva. Non mancheranno molti altri articoli sull’argomento.

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